Villa Carboni
Storia di una villa e di una famiglia che fa parte della storia di Cagliari
di Roberto Copparoni
Cagliari è una città ricca di storia, vicende e avvenimenti che però troppo spesso vengono trascurati in ragione di un frenetico consumo di territori e oblio di tradizioni e di vicende storiche.
Nell’ambito della collaborazione che sto portando avanti a favore di Marina Federica Patteri e Michele Demontis studiosi e autori di bellissime iniziative volte a conservare la memoria del “vero centro storico di Cagliari”, ovvero il quartiere di Sant’Avendrace e la sua laguna, ho avuto la possibilità di incontrare Don Michele Carboni proprietario della villa storica che un tempo era il fiore all’occhiello di Sant’Avendrace.
Questa villa che ha oltre 4 secoli era posta all’interno di una vasta proprietà di circa 250 ettari che dalle pendici di Tuvixeddu si estendeva sino alla zona del fangario per giungere in prossimità delle aree che oggi sono occupate dal Cimitero di San Michele, dalla edilizia popolare e dalla chiesa della Medaglia miracolosa. Ricordo che questa area un tempo veniva chiamata “Campo Carboni”.
Il quartiere di San Michele e le sue abitazioni prende vita attorno al 1910 sui terreni della famiglia Carboni e che in origine veniva chiamato “Case di Villa Carboni”. Questo aspetto segna in qualche modo anche l’uscita amministrativa della villa dal rione di Sant’Avendrace. Infatti la forte espansione urbanistiche dei primi del novecento e del dopoguerra ha determinato l’attuale stato delle cose anche se, con il senno di poi, dobbiamo sempre ricordare il fortissimo legame che questa villa ha avuto, per diversi secoli, con il rione di Sant’Avendrace.
Prendendo spunto dagli scritti lasciati da Antonio Romagnino, Francesco Alziator, Cenza Thermes, Giuliano Carta, Luigi Spanu e ultimo, ma non ultimo, Marcello Serra mi accingo a scrivere questo articolo. ricordando che: Agli inizi dell’800 tra la strada Carlo Felice (oggi viale Monastir) e l’attuale cimitero di San Michele esisteva solo un antico convento dei frati Scolopi. Il resto erano vigneti, mandorleti e terreni di pascolo, in gran parte della famiglia Carboni. A metà del secolo scorso Don Michele Carboni acquistò il convento con il suo orto (Hortus conclusus) per farne la sede della propria azienda agricola e la ristrutturò.
La villa è molto bella e suggestiva e tutto l’ambiente è ricco di fascino che trasmette al visitatore forti suggestioni. A conferma di quanto detto l’edificio è stato dichiarato di interesse storico-artistico dal Ministero dei Beni culturali e bene Identitario con Legge della Regione Autonoma della Sardegna.
Superato l’antico portone campidanese, sovrastato dall’antico blasone della famiglia, si accede al grande giardino di circa 4.000 mq., dove un lungo viale pavimentato in mattoncini di cotto, conduce a una grande statua di Marmo raffigurante il dio Nettuno che porta all’ingresso della villa. A tale proposito ho chiesto l’origine della statua a Don Michele Carboni che mi ha detto che la statua era stata commissionata allo scultore Giovanni Battista Troiani (1844-1927) dal bisnonno che anche lui si chiamava Michele e che in origine era posta all’interno dello stabilimento balneare di “Sa Perdixedda”, realizzato proprio dai fratelli Carboni.
Nel corso della visita il Conte Michele Carboni ci ha voluto mostrare i diversi ambienti che costituiscono la villa e ho notato anche il retrospetto che presenta delle speronature e un paramento murario realizzato in prevalenza in mattoncini di laterizio.
In prossimità dell’ingresso laterale della villa si accede attraverso un piccolo porticato al cui lato è presente una colonna romana munita di basamento.
Il prospetto principale è caratterizzato da due logge con archi a tutto sesto e presenta delle aperture con stipiti e architravi delimitati da cornici modanate e d è concluso in alto da una decorativa balaustra traforata.
A piano terra vi è una vasta sala, detta degli archi. che è scandita da colonne a strombo, sulle quali scaricano archi a tutto sesto. Sulla cappa del camino si può ammirare un antico bassorilievo in marmo con delle figure e simbologie religiose.
Di grande interesse è anche la sala della cisterna così chiamata per la presenza di un’antichissima cisterna di probabile fattura romana, nella quale ancora oggi si raccoglie l’acqua piovana e dove sono ancora visibili nella bordatura del pozzo i segni provocati dallo strofinamento delle funi che erano legate a dei secchi per la raccolta dell’acqua.
Sempre a piano terra troviamo una piccolissima cappella, fortemente rimaneggiata, dedicata alla Vergine Annunziata. A lato della cappella, ma separata da un imponente portoncino in legno, troviamo una suggestiva cantina, ricca di fascino dove ancora oggi e possibile percepire un profumo legato alla produzione del vino; suggestione creata forse anche dalla presenza di antiche botti. Dentro questo ambiente sembra che il tempo si sia fermato.
Al primo piano vi è lo splendido salone detto degli stemmi che ci riporta al fasto e alla eleganza del ‘700. Fra i bellissimi arredi dorati colpisce una grande specchiera che dona ulteriore profondità e luminosità a tutto l’ambiente.
Altro elemento di interesse è dato dalla presenza nel giardino di un imponente mulino a acqua, su due livelli uno dei pochi esempi di costruzione tipicamente sarda utilizzata per sollevare l’acqua dai pozzi. Infatti sulla sommità della struttura vi era una apposito spazion dove un asinello era protagonista della “Noria”. Ricordo che la Noria è un antico strumento per sollevare acqua o materiali minuti nel quale erano presenti una serie di tazze fissate su una catena o su un nastro senza fine che scorreva tra due tamburi rotanti, mossi da un animale o anche dall’uomo.
Poco distante da questo mulino è ancora visibile la pavimentazione di una grande ulteriore cisterna di probabile fattura romana, riconoscibile per via del particolare materiale cementizio usato per la impermeabilizzazione delle superfici. L’opus signinum chiamato anche cocciopesto è un materiale da costruzione utilizzato nell’antica Roma . È una forma di calcestruzzo romano (opus caementicium ), la cui principale differenza è l’aggiunta di piccoli pezzi di ceramica rotta, tra cui anfore, tegole o mattoni, al posto di altri aggregati. La presenza di questa imponente cisterna ci fa pensare alla presenza di una o più ville romane che proprio in questi luoghi dovevano essere presenti. Non dimentichiamo infatti che il primo centro urbano di Cagliari sorgeva proprio a Sant’Avendrace il cui porto, era posto in prossimità dell’ex centrale elettrica di Santa Gilla. Peraltro non è difficile pensare che nelle alture sovrastanti fossero state edificate delle Domus di famiglie agiate e di ricchi mercanti.
Per concludere questo mio contributo voglio ringraziare Don Michele Carboni, per la sua cordiale signorilità e per averci ospitato e renderci partecipi della storia della sua famiglia che è poi è anche una significativa parte della storia di Cagliari.
Spero di rivederla presto…