Tuvixeddu: nuovi possibili scenari di un misterioso sito
Nel corso del Progetto Resilienze culturali, finanziato dalla Fondazione di Sardegna, l’Associazione Amici di Sardegna, nel corso di un sopralluogo, nelle pendici sud occidentali del colle, ha rilevato una serie di interessanti coppelle collegate con delle canalette per il passaggio dell’acqua. Piccole Storie dei Nuovi Percorsi Culturali.
di Massimo Dotta
Proprio dietro la fila di palazzi che fa da contorno a Viale Sant’Avendrace a Cagliari, si trova un sito interessante, dimenticato e abbandonato che meriterebbe sicuramente di più. Quest’area, in Vico II Sant’Avendrace, raggiungibile tramite una ripida scaletta e dopo essersi fatti strada in una giungla di erbacce, ospita quello che rimane del Villino Serra, noto anche come Villa Garbato dai proprietari che vi abitarono fino al 1920.
Questo splendido esempio di liberty cagliaritano si estende su tre livelli, ma oggi appare completamente in stato di abbandono, mantenendo comunque caratteristiche interessanti, come alcune decorazioni negli intonaci e il fatto di esser stato edificato su antiche camere mortuarie incassate nella roccia. Queste vestigia puniche romane, diventate oggi vere e proprie discariche,furono utilizzate come cantine dal villino, come avvenne per gli oltre quattrocento sepolcri antichi che si trovano lungo il viale, in zone non coperte da tutela. Sono testimonianze ormai quasi perdute e invisibili, che non sono apparse durante scavi archeologici, ma nei lavori per le fondazioni di numerosi palazzi sorti su viale Sant’Avendrace; sono quindi state segnalate, catalogate e poi dimenticate sotto ai nuovi palazzi.
Poco sopra, accanto ai ruderi del villino, si trova un costone, una parete rocciosa dove sono state rinvenute alcune serie regolari di coppelle scavate nella roccia, sui fianchi di quella che potrebbe sembrare una piccola cascata naturale. I rinvenimenti sono avvenuti durante i sopralluoghi per la realizzazione del progetto Resilienze Culturali, finanziato dalla Fondazione di Sardegna, voluto e realizzato da Roberto Copparoni e dalla associazione Amici di Sardegna.
La cosa che rende interessante la scoperta è il fatto che tutt’intorno alla parete e alle coppelle si trovano segni di canali per la circolazione dell’acqua che potrebbero far pensare ad una tipologia architettonica a piccole vasche, legata ad un possibile uso sacro del sito.
Sappiamo che nell’antichità erano numerosi i santuario, costruiti spesso all’interno di grotte santuario o ipogei naturali in cui l’acqua era l’elemento fondamentale del culto. Siti di questo tipo erano presenti in tutto il Mediterraneo, come luoghi importanti, riportati da autori classici, come Omero ad esempio, luoghi di culto dedicati all’acqua, alle divinità ctonie e ai riti oracolari. Le divinità venerate erano legata alla salute e alla cura, e l’acqua diventava in questi luoghi anche un elemento di divinazione e oracoli, la cui creazione non era dovuta all’uomo, ma alla manifestazione della divinità nelle acque che poi venivano considerate sacre.
Lavarsi, immergersi, bagnarsi e purificarsi erano pratiche comuni e usuali nelle aree sacre di tutte le civiltà e le religioni del Mediterraneo. La presenza di una fonte, di una sorgente d’acqua, o di strutture idrauliche quali canali, bacini, vasche, pozzi all’interno o nelle vicinanze degli edifici sacri, testimoniano spesso l’uso sacro di un determinato luogo. Questi culti, spesso misterici, vanno dal periodo nuragico, a quello fenicio-punico quasi senza soluzione di continuità.
Probabilmente costruzioni sacre che usavano l’acqua, e quindi attrezzate con vasche o fontane erano presenti in tutta l’area dove oggi si trova Viale Sant’Avendrace, luogo dedicato ai morti. Oltretutto la posizione dell’antico acquedotto poco sopra, permetteva di usarne l’acqua in sistemi a caduta, utili ad alimentare cisterne, vasche o fontane.
Un altro esempio del valore sacro delle fonti si può trovare poco distante dal villino Serra, in un sito archeologico molto conosciuto, ma che ha ancora molto da raccontarci: la Grotta della Vipera.
Nella raffigurazione su un vaso greco datato 520-510 a.C. (foto 1) troviamo un edificio con una fontana, con due piccoli serpenti che si fronteggiano sul frontone. La fontana appare come un tempio dal quale alcune donne attingono l’acqua. Lo stesso tipo di decorazione è presente sul timpano scavato nella viva roccia della Grotta della Vipera di Cagliari. E questo monumento si trova alle pendici del costone roccioso, lungo la via di uscita dalla città antica, poco sotto la linea d’arrivo dell’acquedotto romano, fatti che ci permettono di considera possibile la presenza dell’acqua anche nella stessa Grotta della Vipera o nelle grotte o strutture che si trovavano tutt’attorno.
Dalla ricerca d’archivio emerge la testimonianza che nell’area della Grotta della Vipera di una fontana, ben nota alla fine del Seicento ma poi scomparsa. Nel documento si legge che:
”Andrea Corda, massaio di Sant’Avendrace, acquista dai frati Agostiniani di Cagliari, per 100 lire, una grotta con lolla, sita a Sant’Avendrace e che confina: davanti con la font del aigua bona, strada reale in mezzo; dietro con il campo del fu Antioco Cabras ora del figlio Francesco; da un lato […] a la gruta de la Bivora que se diu […]; dall’altro lato con la grotta di Caterina Capay” (1).
ASCa, Ufficio dell’Insinuazione, tappa di Cagliari, atti legati, vol. 213 (notaio Francesco Calvo), cc. 255v-259, [16 giugno 1692]
Si cita qui sia la gruta de la Bivora che una fontana che possiamo immaginare antica, forse quanto l’acquedotto, dal quale probabilmente portava l’acqua “bona” ai cittadini e ai viandanti. Vediamo dal documento la presenza di almeno tre grotte nell’area una delle quali “con lolla”. Ma purtroppo, tutto ciò che si trovava intorno alla Grotta della Vipera, che doveva apparire come una via Appia in piccolo, fu definitivamente distrutto dopo il 1822 in seguito alle opere stradali per la ricostruzione della Strada Reale Carlo Felice, quando si preparò il tracciato con la dinamite; la sopravvivenza della Grotta della Vipera si deve al fortunato intervento del generale Alfonso Della Marmora, altrimenti anche di quella non avremo mai saputo nulla.
In ogni caso l’area di Tuvixeddu e i suoi dintorni restano dei luoghi molti particolari; infatti, come afferma l’archeologo Piero Bartoloni, nessun altro sito conserva vestigia del mondo punico in tale quantità, e nella stessa Cartagine la maggior parte delle tombe non è ormai più visibile. Questi fatti dovrebbero renderlo un bene prezioso, eppure la necropoli cagliaritana non è mai stata studiata nella sua interezza, ne mai, fino ad oggi, adeguatamente tutelata.