Rubrica: “La Sardegna dei Comuni” – Arbus
Ogni settimana raccontiamo la storia di un paese della Sardegna per far conoscere le sue particolarità, le sue bellezze geografiche e la sua comunità.
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di Antonio Tore
Arbus è un centro della provincia del Sud Sardegna che conta oltre 6.000 abitanti, centro agro-pastorale conosciuto anche per le località balneari della Costa Verde e per la frazione di Ingurtosu (le cui miniere dismesse fanno parte del parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna).
Arbus è una apprezzata meta turistica nel periodo primaverile ed estivo. La spiaggia principale, quella di Piscinas, comprende uno dei sistemi di dune sabbiose che raggiungono anche un’altezza di 100 m circa, ovvero le dune più grandi e alte d’Europa.
La zona di Arbus è costituita anche da un gruppo di rilievi montuosi che culminano a sud con il monte Linas e a nord con il monte Arcuentu. Si tratta del Massiccio Paleozoico Sardo che è composto di rocce rappresentate da un nucleo granitico ricoperto da un mantello di scisti silurici: questi peraltro sono stati in più parti asportati dall’erosione che ha messo così allo scoperto la roccia sottostante. L’intrusione granitica ercinica, oltre a costituire l’impalcatura rigida della Sardegna della zona, ha favorito la formazione di giacimenti minerari piombo-zinciferi che si sono depositati in filoni, influendo nel tempo, sulle condizioni economiche, conseguenza dello sfruttamento da parte dell’uomo.
Il toponimo Arbus ha un’etimologia incerta:
- una prima ipotesi fa risalire il nome ad albus (“bianco”), riferito forse alla presenza di massicci di granito di colore bianco. Al riguardo Pietro Vidal nelle sue opere attribuisce proprio al villaggio il nome di Albus e nomina i suoi abitanti “albesi”;
- una seconda ipotesi si rifà ad arburis, per l’abbondanza di alberi che in passato avrebbe caratterizzato il territorio;
- secondo un’ultima ipotesi il termine deriverebbe da arabus, con riferimento alle orde saracene che un tempo avrebbero invaso le coste.
Sulla presenza dei primi abitanti nella zona di Arbus, appare interessante la scoperta di due scheletri umani, battezzati dai ricercatori Beniamino e Amanda, ritrovati ad Arbus in località S’Omu e s’Orku, i quali risalirebbero a circa 8.500 anni fa. Nel 2011, invece, in località Su Pistoccu, è stato rinvenuto il più antico scheletro umano completo sardo, ribattezzato Amsicora, che visse in un’epoca ancora più remota, ossia durante il periodo di transizione tra il Neolitico e il Mesolitico, cioè 10.000-8.200 anni fa circa.
Non è nota la data esatta della fondazione di Arbus, poiché, diversamente da oggi, il paese si presentava strutturato in diversi villaggi tra cui Santu Domini, Santa Sofia, Bidda Zei, Bidda Erdi, Villa Babari, Funtana Atza, Cilirus, presso Flumentorgiu, “Villa Jaca” e altre piccole località. Col tempo, a causa dei numerosi attacchi via terra e via mare di Saraceni e Aragonesi, i diversi abitanti confluirono in un unico centro abitato.
La scarsezza di fonti documentarie scritte rende difficile ricostruirne la storia. Infatti, non si conosce il periodo della sua formazione a villaggio, inteso nel senso moderno come nucleo abitativo di una comunità. Per certo si può dire che insediamenti umani erano presenti nell’Arburese fin dall’antichità: il nuraghe di Cugui, la tomba dei giganti in loc. Bruncu Espis nelle vicinanze di Funtanazza, la vicina tomba dei giganti nell’area di San Cosimo in territorio di Gonnosfanadiga, ed altri tanti siti archeologici presenti nel territorio arburese, fatti censire dal Comune, ne sono muti testimoni. Arbus fu interessato dal passaggio dei romani, (i recenti scavi di piazza San Lussorio ne hanno rivelato la presenza attraverso il rinvenimento di una tomba romana “alla cappuccina”), ed ancora in località Madonna d’Itria sono state trovate monete e lacrimatoi in vetro del periodo romano. Sicuramente doveva essere un punto di frequenza secondario, perché la parte abitata in epoca romana era la zona dove oggi sorge S’Antonio di Santadi, resti di una villa romana sono presenti in loc. S’Angiarxa.
La festa di Sant’Antonio da Padova si svolge ogni anno nel mese di giugno a sant’Antonio di Santadi e dura per quattro giorni consecutivi, dal sabato al martedì. Si tratta di una delle feste religiose più antiche della Sardegna e mescola gli aspetti più sacri a quelli più pagani relativi all’impresa da compiere. Si tratta infatti di riuscire a portare a termine una processione a piedi che ha inizio ad Arbus il sabato mattina con il corteo accompagnato da gruppi in costume sardo, cavalieri, “traccas” e migliaia di fedeli, e giunge, a fine giornata, alla frazione di Sant’Antonio di Santadi dopo aver percorso quasi 40 km. Il corteo si ripete in direzione inversa il martedì con l’arrivo la notte ad Arbus festeggiato da migliaia di persone.
Il paese di Arbus, dedito inizialmente all’agricoltura e alla pastorizia, ebbe uno sviluppo molto lento, tanto che nel 1688 contava appena 989 abitanti e dieci anni dopo arrivarono a 1282. Nei primi anni 800 fiorì nel paese, grazie anche al vasto territorio comunale, l’allevamento di ovini, caprini, bovini, suini e cavalli che, nonostante l’assenza di strade, diede vita ad un commercio intenso soprattutto con Cagliari e Orsitano. Altra attività di rilievo era quella dedicata alla tessitura con la produzione di lino, cotone, tela grezza e orbace di cui se ne faceva grande smercio nei paesi del Campidano, praticata dalla quasi totalità delle famiglie: su 670 case censite, 600 erano, infatti, fornite di telaio.
La storia di Arbus è legata indissolubilmente alla storia delle sue miniere i cui due principali complessi erano il villaggio di Ingurtosu e quello di Montevecchio. Questi luoghi, un tempo centri propulsori dell’economia locale, sono oggi villaggi abbandonati, ma rimangono a testimoniare le storie delle persone che qui ci hanno vissuto e lavorato.
Il villaggio di Ingurtosu, situato all’estremità della lunga valle de “Is animas”, funzionava quale centro direzionale della miniera di Ingurtosu e della miniera di Gennamari da cui si estraeva piombo, zinco e argento.
Nel villaggio meritano una visita il palazzo della direzione , chiamato “Il castello”, costruito verso il 1870 in stile neomedievale e posto in posizione dominante rispetto alle altre abitazioni e la Chiesa di Santa Barbara.
A breve distanza dalla Chiesa è possibile visitare l’imponente struttura del Pozzo Gal che si collegava via rotaia alla cosiddetta Laveria Brassey, costituita da un complesso di laverie (meccanica, magnetica) e da un impianto di flottazione dei minerali.
Ad oggi l’impianto del pozzo è stato recuperato grazie all’intervento del Comune di Arbus ed ospita un museo multimediale che racconta la storia delle miniere, e la sede del CEAS Ingurtosu, il Centro di Educazione Ambientale.
Lungo la strada sterrata che conduce a Montevecchio, all’interno del cantiere di Telle, si incontra un altro mirabile esempio di recupero di archeologia mineraria, Pozzo Amsicora. Si tratta di un luogo molto importante per i sardi perché rappresenta in modo significativo un pezzo della storia mineraria locale, ed in particolare, è simbolo delle lotte che i minatori fecero con l’intento di salvaguardare i propri diritti al lavoro per sé e per le successive generazioni, sogno che svanì nel 1991, dopo 27 giorni passati nel profondo di un pozzo.
Proseguendo verso nord si raggiunge il complesso minerario di Montevecchio, situato a cavallo tra i comuni di Guspini e Arbus. Montevecchio si dislocava lungo due aree denominate cantieri di Levante e cantieri di Ponente comprendendo magazzini, laverie, pozzi, alloggi dei minatori e degli impiegati, ma anche edifici di carattere pubblico e ricreativo.
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