Coltivazione dei capperi, una tradizione selargina

Nelle campagne di Selargius anni fa i cappereti erano in abbandono,  oggi  sono stati quasi tutti recuperati grazie alla dedizione dei coltivatori .Ogni anno più di venti quintali di capperi vengono prelevati da oltre cinquemila piante

di Annalisa Pirastu

Da sempre l’orticoltura, l’agricoltura e il commercio hanno caratterizzato il paese di Selargius. Oltre ai famosi vigneti e mandorleti, anzi, in simbiosi con essi, a Selargius si coltivano i capperi. Il nome viene dall’ arabo “kabar” poiché è un arbusto tipico della flora mediterranea. I suoi rami possono arrivare a due metri, e ricadono verso il terreno. Le foglie  sono  di colore verde scuro, ovali mentre  i fiori sono bianchi e rosa con riflessi violacei.

I capperi si usavano nella medicina popolare con impacchi per curare le varici, e si sa che hanno proprietà diuretiche e stimolano le funzioni epatiche. Tutte le parti della pianta inoltre, sono una discreta fonte di proteine, vitamina A,E, C, K, riboflavina, folati, niacina, calcio, manganese, ferro, magnesio e rame. In campo erboristico viene utilizzata la scorza del cappero che contiene un glucoside amaro, la capparirutina, con proprietà antiartritiche e digestive.

Il genovese Domenico Dentoni, sindaco di Selargius, che diede inizio alla coltivazione del cappero su grande  scala nell’agro selargino, aveva intuito le qualità e potenzialità di questo cibo che venne introdotto come tale, solo a partire dalla seconda metà dell’800.

Nelle campagne di Selargius anni fa i cappereti erano in abbandono, ma ora sono stati quasi tutti recuperati grazie alla dedizione dei coltivatori .Ogni anno più di venti quintali di capperi vengono prelevati da oltre cinquemila piante. È una produzione di nicchia che richiede tempo e passione perché la raccolta è una procedura delicata.

 Il “capparis spinosa”, nome scientifico del cappero, cresce lungo le fessure dei muri e sulle rupi, riuscendo a sopravvivere in terreni poveri, calcarei e asciutti, soprattutto in pianura. Sopravvive anche nelle zone di mare e  sui rilievi fino a circa 1000 metri. I capperi amano le estati molto calde, 35-40°C, e gli inverni miti, e possono sopportare brevi periodi di gelo.

I capperi sono i boccioli dei fiori non ancora schiusi. Hanno un sapore molto forte che li rende immangiabili prima di essere trattati.  Si miscela ai capperi il sale marino, circa il 40% del peso dei capperi che forma una salamoia densa, e comincia la fase di maturazione. Segue una seconda salatura al 20% che porta al processo fermentativo e toglie il gusto amaro e piccante.

Questo metodo di lavorazione mantiene le caratteristiche organolettiche del cappero senza ricorrere agli additivi aggiunti ai prodotti sott’aceto. I capperi più piccoli sono i più pregiati.

Il cappero di Selargius ha attirato l’attenzione del presidio Slow Food e vede la sua fama paragonata ai grandi produttori mondiali di capperi. Il prezzo varia dai 18 ai 45 euro al chilo, a seconda del prodotto. La gran parte dei capperi selargini  viene venduta nei ristoranti di Milano e Torino. Trasformati in patè, in pasta, sotto aceto e sotto sale, sono arrivati persino nei ristoranti ungheresi.
 

 

 

 

 

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