Cagliari, l’ultimo dell’anno del 1899
I Cagliaritani non mostrano alcun entusiasmo per l’imminente nuovo anno, 1900, che inaugurerà il XX secolo nel quale si celebrerà anche il Giubileo che, nonostante la religiosità della gente e le messe in cattedrale e nelle principali parrocchie, viene visto come un avvenimento lontano.
di Sergio Atzeni
Domenica 31 dicembre 1899 Cagliari come oggi gode di un cielo sereno con temperatura che oscilla tra i 9 e gli 11 gradi, al mercato civico del Largo una normale animazione nonostante quella importante giornata che tradizionalmente si concluderà con i rituali cenoni.
E’ ancora vivo tra la gente il ricordo della recente visita del re Umberto I e di sua moglie regina Margherita che hanno posto la prima pietra del nuovo Palazzo Civico che sta sorgendo nella via Roma, voluto fortemente dall’amato sindaco Ottone Bacaredda che amministra la città dal 1896.
L’economia cittadina è in piena crisi: l’agricoltura ha subito gravi danni dagli incendi estivi e dalla siccità autunnale che hanno compromesso raccolti e produzione vinicola con gravi ripercussioni sulle tradizionali attività artigianali e commerciali che sono allo stremo per mancanza di commesse. In questa situazione, la popolazione non mostra alcun entusiasmo per l’imminente nuovo anno che inaugurerà il XX secolo nel quale si celebrerà anche il Giubileo che, nonostante la religiosità della gente e le messe in cattedrale e nelle principali parrocchie, viene visto come un avvenimento lontano.
In quell’ultimo giorno del 1899, ha grande risalto il resoconto pubblicato dall’Unione Sarda, della interpellanza parlamentare del deputato sardo Caboni Boy che si fa interprete del disagio dei sardi e dei cagliaritani, sollecitando il governo a tener fede agli impegni presi per la modernizzazione dei trasporti marittimi e ferroviari, la revisione delle esose tasse fondiarie, il rimboschimento e la lotta alla usura provocata dall’alto costo del danaro nell’isola: sembra incredibile, ma sono gli stessi problemi che oggi sono ancora sul tappeto nonostante sia passato un secolo esatto.
Quel 31 dicembre la tranquillità provinciale di Cagliari è turbata dalla morte per annegamento dell’impiegato Giovanni Mura il cui corpo viene ritrovato nel bacino della darsena e dalle notizie di uno stampacino che, in preda ai fumi dell’alcool, ha preso a bastonate la propria consorte.
Alla indifferenza dei semplici cittadini che faticano a sbarcare il lunario e mostrano di essere rassegnati e di non aver la minima speranza per il futuro, fa riscontro l’euforia degli appartenenti alle classi più agiate che vivono nel mondo chiuso di Castello.
Lì festeggeranno il nuovo anno nelle loro esclusive residenze dove, attorniati da stuoli di invitati, si consumeranno fiumi di vino e abbondanti libagioni. Altri benestanti passeranno le ultime ore dell’anno al teatro Civico, al politeama Carboni o al politeama Regina Margherita dove la celebre compagnia di Italia Vitaliani metterà in scena “La seconda moglie” con il tutto esaurito.
Quella sarà l’occasione per i ricchi di ostentare la propria agiatezza e, dal palchetto riservato, mettere in mostra e far invidiare il nuovo abito alla moda, magari importato direttamente dalla Francia. nell’intervallo girerà la notizia del grande successo ottenuto a Torino dal concittadino Piero Schiavazzi che ha dato una interpretazione magistrale della Manon di Puccini, tutti ne parlano con ammirazione e forse con un pizzico di invidia.
Una folla composta in una atmosfera non certo allegra, saluta il vecchio anno assistendo al concerto della banda cittadina che nella via Roma esegue marce militari e pezzi tratti dalla Carmen di Bizet.
Alla mezzanotte urla di gioia e schiamazzi si odono in Castello, da molte finestre viene buttato qualche vecchio oggetto e si accennano cori improvvisati. Nei quartieri popolari di Stampace, Villanova e Marina invece non si ha nulla da buttare e nessun motivo per gioire, un nuovo anno di sacrifici sta arrivando e molti cagliaritani, senza più speranze per il futuro, hanno già pronta la valigia per cercare all’estero un lavoro e quella dignità che in patria è ancora negata.