Cagliari 25 aprile 1945: fame, distruzioni e mancanza di lavoro – Video
Il giorno della liberazione che si festeggia oggi il 25 aprile 1945, la città di Cagliari era completamente distrutta, dei 4.550 edifici stimati in città, il 16% risultarono crollati ed il 63% gravemente danneggiati, le linee elettriche e le fognature non esistevano più, i negozi e le fabbriche abbandonati ed ogni attività sospesa, Cagliari si presentava come una centro fantasma. Guardate il video della città bombardata
di Sergio Atzeni
Gi alleati erano arrivati alla fine del 1943 e avevano in qualche modo aiutato la popolazione e lentamente in tanti rientravano dallo sfollamento nei paesi dell’interno. La situazione abitativa come detto era tremenda e molti erano costretti a vivere negli anfratti dell’anfiteatro e nelle tombe di Tuvixeddu, mentre i più fortunati erano ospitati in tante caserme militari. Il cibo era razionato e imperversava il mercato nero accessibile solo ai ricchi.
Insomma una situazione da terzo mondo che solo dopo un decennio grazie ai massicci aiuti americani e dello Stato si sarebbe superata nonostante una lenta ricostruzione.
Riepiloghiamo di seguito la storia di quegli anni.
I tragici bombardamenti su Cagliari del 1943
La battaglia di El Alamein nel 1942 e la relativa sconfitta delle forze dall’Asse, costrette a retrocedere verso la Tunisia, furono la causa principale delle funeste incursioni sulla città di Cagliari e su altri centri della Sardegna.
Lo sbarco degli Statunitensi a Casablanca e l’avanzata con l’occupazione dell’Algeria, consentì agli alleati di disporre di basi aeree in grado di colpire il territorio italiano e specialmente la Sardegna che diventò primo obbiettivo degli Anglo-Americani con tragiche conseguenze.
La ritirata in Tunisia degli Italo-Tedeschi pressati da Sud dagli Inglesi e da Ovest dagli Americani, portò infine al completo abbandono dell’Africa lasciando in mano agli alleati tutte le basi aeree e navali che furono rese immediatamente operative e pronte a colpire l’ormai vacillante apparato difensivo italiano, con uno sbarco da effettuarsi in Sicilia od i Sardegna.
Si decise per la Sicilia, ma per sviare i sospetti, si progettarono dei bombardamenti intensivi sulla Sardegna che accidentalmente si trovò nell’occhio del ciclone e conobbe improvvisamente la crudeltà di una guerra che per tanto tempo le era stata lontana.
I primi bombardamenti iniziarono nel mese di novembre del 1942, l’indomani dello sbarco a Casablanca, colpirono Selargius, Elmas, Monserrato e Decimo, provocando molto spavento ma pochi morti e furono effettuati dagli inglesi durante la notte cosi come avrebbero fatto per tutta la guerra.
Nel mese di gennaio del ’43 una sola incursione turbò il sonno dei cagliaritani, l’aeroporto di Elmas subì ancora un intenso bombardamento dove morirono sei persone e fu un tragico presagio per il futuro che si sarebbe presentato, da lì a poco, con tutto il suo immenso carico di morte e distruzione.
Gli inglesi si erano limitati, fino ad allora, a sporadiche incursioni con pochi velivoli che non poterono essere precisi nel colpire gli obbiettivi poiché l’oscuramento ne impediva l’esatta identificazione.
Gli americani invece, dopo essersi organizzati e ricevuto notevoli rinforzi in uomini e mezzi dalla madrepatria, misero in atto il loro disegno di indebolire il morale degli italiani con massicci bombardamenti che no risparmiarono le città ed i civili, Cagliari e l’intera isola diventarono meta di incursioni memorabili che lasciarono dietro di sé lacrime e macerie.
Contrariamente agli inglesi, l’U.S. Air Force bombardava di giorno con un gran numero di velivoli del tipo B17, chiamati fortezze volanti, scortati da caccia Lightning P38 dalla caratteristica doppia coda e adatti anche allo spezzonamento; la precisione di questi aerei era enorme e a nulla valse la strenua difesa della contraerea.
Il 7 di quello sciagurato febbraio del 1943, ben 50 velivoli Usa si presentarono su Elmas mostrando la potenza delle loro bombe ed il 17 Cagliari vide sfilare nel cielo oltre 100 fortezze volanti scortate dai sinistri P38 che lasciarono cadere centinaia di bombe sulla città e arrivarono, forse per errore, a Gonnosfanadiga, dove spezzoni incendiari fecero strage di bambini: il bilancio fu pesante quasi 200 morti.
Il giorno 26, una ventina di aerei sganciarono su Cagliari 50 tonnellate di ordigni che crearono una linea di distruzione tra il colle di Bonaria quello di Castello ed il quartiere Stampace, lasciando tra le macerie 75 morti e 300 feriti.
Le strade erano affollate quella Domenica 28 febbraio 1943, la giornata splendida con un cielo azzurro ed un tepore primaverile aveva favorito la classica passeggiata per la città, le chiese erano affollate, forse per scordare i recenti tragici avvenimenti e pregare affinché non si ripetessero; ma all’improvviso le sirene lanciarono il loro lugubre ululato e la gente, colta dal panico, cercò di guadagnare il rifugio più vicino.
Erano le 13 e le bombe si presentarono inesorabili con il loro sibilo seguito dall’esplosione terrificante , mentre il rombo delle fortezze volanti completava quella sinfonia di morte che solo la guerra può suonare.
Novanta velivoli con ondate successive sganciarono 120 tonnellate di bombe sulla città, causando 200 morti e centinaia di feriti, distruggendo porto, palazzi, opere pubbliche, teatri, cinema, chiese e lasciando indelebile il terrore in coloro che vissero quei tragici momenti.
Cagliari, dopo quel giorno, non fu più la stessa, alle distruzioni segui l’abbandono della popolazione civile che con la fuga cercava la salvezza; iniziò così “lo sfollamento” ed i paesi dell’interno ospitarono i cagliaritani che portarono con sé, poche e miserabili cose, lasciando ogni avere alla mercé degli inevitabili sciacalli che si diedero subito da fare, saccheggiando negozi ed abitazioni, in quella città diventata fantasma e controllata a malapena dai carabinieri che non poterono arginare quel reato abbietto che colpisce persone disperate.
Nel mese di marzo altri bombardamenti distrussero ciò che rimaneva del porto mentre a maggio, 200 bombardieri e 180 caccia americani distrussero ciò che rimaneva ancora in piedi, lasciandola simile ad un grande cumulo di macerie che nascondevano i rari palazzi ancora in piedi.
La notte gli inglesi completavano il lavoro dei loro alleati e non si capisce il motivo di questa ostinazione, considerando la mancanza assoluta di un qualunque scopo militare di un centro urbano ormai ridotto il polvere.
In quel mese di maggio, le truppe dell’Asse abbandonarono la Tunisia, ultimo caposaldo in Africa, consentendo agli angloamericani di prendere l’iniziativa di invadere il territorio italiano e la Sardegna fu ancora oggetto di raid aerei per non far comprendere le vere intenzioni sullo sbarco in Sicilia.
Cagliari fu presa di mira anche nel mese di giugno e l’ultima incursione si ebbe sull’aeroporto di Pabollonis l’8 settembre, lo stesso giorno dell’annuncio dell’armistizio da parte del generale Badoglio.
Dei 4.550 edifici stimati in città, il 16% risultarono distrutti ed il 63% gravemente danneggiati, le linee elettriche e le fognature non esistevano pi, i negozi e le fabbriche abbandonati ed ogni attività sospesa, Cagliari si presentava come una centro fantasma che però, con la forza d’animo della sua gente, col duro lavoro e con l’ostinazione, riuscì a risorgere e a diventare il moderno agglomerato urbano di oggi, pur con tutti gli errori, le lungaggini inevitabili ed i mille problemi da risolvere che una ricostruzione quasi totale ha comportato.
La ricostruzione di Cagliari
Nel 1948 con l’istituzione della Regione Autonoma della Sardegna, non senza critiche da parte di politici sardi che ritenevano lo statuto inferiore a quanto richiesto e insufficiente per risolvere la endemica situazione di sottosviluppo locale, Cagliari diventò ufficialmente il capoluogo dell’isola.
Così come, con le dovute proporzioni, successe a Roma 87 anni prima, si assistette in città a un forte impulso di costruzione di edifici, civili e pubblici, innescando il fenomeno dell’urbanesimo causato dall’immigrazione di numerose famiglie che da ogni parte della Sardegna si trasferivano a Cagliari cercando lavoro e una vita dignitosa.
In quel periodo a Cagliari, distrutta dalla guerra, c’era tanto da ricostruire e i quartesi diventarono gli impresari edili più quotati e ottennero la maggior parte degli appalti pubblici ma furono gli artefici anche dell’edificazione dei più importanti palazzi privati.
Così alla fine degli anni cinquanta la città si allargava in modo inarrestabile, i nuovi quartieri sorgevano come funghi e gli abitanti aumentavano in modo considerevole.
San Benedetto diventò il quartiere nuovo per eccellenza con palazzoni e negozi, non si pensò però né al verde pubblico né ai parcheggi.
Monte Urpinu fu raggiunto inesorabilmente dal cemento e perse le caratteristiche di oasi verde e selvaggia.
Il quartiere di Santa Alenixedda nacque improvviso assorbendo pinete vigne e oliveti, Genneruxi, sfidando le zanzare ormai non più nocive, avanzò con le sue costruzioni verso Viale Marconi.
I quartieri storici iniziarono il loro declino, in Castello si ebbe un decisivo cambio dei residenti e i ricchi, i nobili e l’alta borghesia che ancora vi risiedevano si trasferirono nei nuovi quartieri più confortevoli, mentre le classi più povere e gli immigrati presero possesso delle abitazioni malsane e in forte degrado diventate disponibili, con canoni di locazioni a buon mercato.
L’avvento della televisione nel 1954 causò nuovi fenomeni sociali: le famiglie in quegli anni si riunirono presso amici o parenti per seguire i programmi più noti come “Il Musichiere” o “Lascia o Raddoppia”.
Cagliari andava sempre più assumendo le caratteristiche di città commerciale, attirando persone in cerca di fortuna e di affari.
Arrivarono tra gli altri, napoletani, siciliani, pugliesi che in breve si affermarono come imprenditori com-merciali, dando lavoro ai locali e creando solide aziende delle quali molte oggi sopravvivono.
C’era bisogno di tutto e tutto si comprava, il consumismo faceva girare il danaro dando a molti opportunità di ricchezza mentre altri erano costretti a cercare il pane all’estero o vivere in condizioni di povertà e de-grado da terzo mondo.
Fino agli anni ’60 alcune famiglie occupavano gli anfratti dell’anfiteatro, altre erano ospitate nei “ghetti popolari” che allora si chiamavano “Prazzas” ed erano costituiti da abitazioni fatiscenti con servizi in comune e fontanella d’acqua esterna per tutta la comunità: una di queste “residenze” aveva gli ingressi nella via Garibaldi e occupava l’area della odierna via Vittorio Emanuele Orlando.
Subito dopo il 1960, i giovani oltre alle passeggiate “in cricca” nella via Dante o nella via Roma, scoprirono il ballo e si organizzarono in “Club” trasformando magazzini, garage e depositi, in mini-discoteche dove passavano le serate danzando o ascoltando i 45 giri.
Un vero fenomeno di costume che forgiò tanti adolescenti e che fece abbandonare e dimenticare i giochi all’aperto fino ad allora praticati come, la trottola, la cerbottana, la corsa ciclistica con i tappi di bot-tiglia, prontus-quaddus-prontus e pincaro.
Ma un grande pericolo era in agguato anche nella nostra città, la droga, che irruppe improvvisa e repentina turbando il vivere sereno di decine di famiglie.
Cagliari del dopoguerra
Il 1949, fu accolto in città con tante speranze per il futuro, un anno prima, il 31 gennaio, non senza contestazioni, era stato approvato lo Statuto speciale per la Sardegna emanato poi con legge costituzionale il 26 febbraio seguente.
L’autonomia agli occhi dei cagliaritani, avrebbe dovuto dare un impulso decisivo alla ripresa economica e alla ricostruzione di cui la città aveva grande necessità. Le elezioni regionali erano state indette per l’otto Maggio di quel 1949 e l’Alto Commissario per la Sardegna, Gen. Pinna, che reggeva straordinariamente il governo isolano dal 1944, cercò di trovare gli stabili che avrebbero dovuto ospitare gli uffici ed il Consiglio Regionale pensando, in un primo tempo, di ricostruire il palazzo Villamarina ed il teatro Civico, distrutti dai bombardamenti.
Per spronare l’asfittica economia cagliaritana si pensò di organizzare la prima Fiera Campionaria con l’inaugurazione prevista per il 22 gennaio, non senza opposizioni campanilistiche: infatti L’Unione Sarda del 6 Gennaio pubblicò il seguente annuncio pubblicitario: “L’unica, la vera, la sola Fiera Campionaria di Sardegna ad Iglesias ad Ottobre”.
Intanto la lotta antimalarica, iniziata nel 1946, stava riportando un successo insperato, i dati forniti dall’ente preposto, l’Erlaas con sede nel caseggiato Riva in piazza Garibaldi, parlavano di una decina di casi in città contro le centinaia di non molto tempo prima.
Il problema maggiore da risolvere rimaneva quello degli alloggi, con un numero impressionante di edifici inagibili ed altri completamente distrutti, la popolazione meno abbiente costretta a trovare ricovero negli anfratti dell’anfiteatro od a occupare cavità sparse in periferia.
Le autorità avevano provveduto ad assegnare abitazioni in caserme del viale Poetto ed alloggiare altri senza tetto nell’ex stabilimento Ausonia, ma tutto ciò non bastava anche perché i canoni di affitto, nel mercato libero, rimanevano inaccessibili ai più. Le tessere annonarie erano l’unico strumento per acquistare – pane e generi da minestra – ed era obbligatoria la prenotazione presso i negozi di generi alimentari; mangiare il pollo, almeno una volta alla settimana, rimaneva la massima aspirazione, almeno per le classi meno abbienti.
Si pubblicizzava, col benestare del Ministero del Lavoro, la richiesta di operai da parte dell’Argentina e della Francia e tante famiglie abbandonarono Cagliari e la Sardegna con la speranza di costruirsi un futuro migliore.
Nel mese di febbraio, un grave lutto colpì la città, moriva l’amato Arcivescovo Ernesto Maria Piovella, una moltitudine di cittadini rese omaggio alla salma ed una immensa folla partecipò commossa ai funerali.
Fra Febbraio e Marzo di quel 1949, vento, nubifragi e perfino la neve, flagellarono la città creando gravi disagi ai senzatetto, in piazza Tristani il manto stradale cedette e si aprì una voragine profonda alcuni metri senza provocare, per fortuna, danni alle persone.
Unico svago per i cagliaritani erano i cinematografi tra i quali il Due Palme di recente apertura, che offriva il biglietto a sole 80 lire, con 125 lire al Massimo si assisteva anche al varietà.
Guardate il video della città bombardata