Accadde a Cagliari: Il furto dei libri.
di Massimo Dotta
Alcune vicende accadute nella Cagliari medievale, che emergono dalla ricerca sui documenti d’archivio, hanno il sapore del giallo, e parlano di furti e sotterfugi.
In questa storia ci portano a scoprire una Sardegna medievale, dal periodo romano fino all’arrivo degli aragonesi, di grande vivacità culturale e intellettuale, testimoniata dagli oltre seicento possessori di libri documentati nell’isola, con in aggiunta le grandi biblioteche.
Lo studio della circolazione del libro in Sardegna è un campo di ricerca nuovo e nasce dall’analisi delle raccolte dei documenti medievali, durata tre anni e presentata nel volume del 2016, Libri, lettori e biblioteche nella Sardegna medievale e della prima Età moderna (secoli VI-XVI)1, all’interno del progetto RICABIM (Repertorio di Inventari e Cataloghi di Biblioteche Medievali) iniziato nel 1996 dalla Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino di Firenze.
Durante le ricerche sono emerse numerose testimonianze di libri famosi che sono passati per la Sardegna, in transito, come il cosiddetto Ilario Basilicano, con note autografe di Fulgenzio di Ruspe, a Cagliari attorno al 510, e l’Orazionale visigotico, il più antico manoscritto in minuscola visigotica, che fu in Sardegna fra il 711 e il 732, per motivo di studio o farne copie.
Veniamo a sapere quindi che in Sardegna, attorno al 1200, circolavano ed erano presenti numerosi libri e biblioteche, e, di conseguenza, era anche presente un pubblico colto numeroso, capace di leggere, apprezzare e usare i manoscritti (che spesso erano trattati di tecnica).
Ora essendo documentato che prima dell’avvento dei nuovi dominatori aragonesi i manoscritti esistevano sicuramente in collezioni di grandi dimensioni, custodite sia nelle chiese di antica tradizione nei centri principali che in raccolte private, una domanda sorge spontanea: dove sono finiti tutti quei libri quando sono arrivati i catalano-aragonesi?
La risposta la possiamo trovare analizzando alcuni fatti storici, che ci permettono di seguire le vicende di queste raccolte di volumi, come nei casi del convento di S. Francesco a Stampace e del monastero di clausura di S. Margherita, situato al tempo ai piedi del Castello, dove oggi si trova la chiesa di Santa Chiara. Entrambe le sedi centrali di questi ordini religiosi custodivano, come era comune nel medioevo, una propria biblioteca, con copie di libri, come abbiamo visto prima, spesso importanti e famosi.
Nel 1326, durante gli scontri tra il Comune di Pisa e la Corona d’Aragona prima della presa di Cagliari, vennero distrutte entrambe le sedi dei frati e delle clarisse, e le rispettive biblioteche vennero interamente confiscate. I religiosi denunciarono che i catalano-aragonesi si erano impossessati di tutti i libri, portandone parecchi nel loro quartier generale di Bonaria. Non sappiamo quanti volumi fossero stati presi e, sebbene l’erede al trono avesse ordinato la pronta restituzione, non siamo sicuri che l’ordine sia stato effettivamente eseguito.
Un’altro esempio importante di “furto” di libri in Sardegna lo troviamo nel 1333, avvenuto a scapito della raccolta della cattedrale di S. Maria di Cagliari, alla quale vennero sottratti più di 134 codici, un numero di volumi notevole per la Sardegna del tempo. Questo furto, definito “sacrilego” dai consiglieri civici cagliaritani, venne compiuto dall’arcivescovo Gondisalvo, primo della serie dei prelati catalani che vennero posti a capo dell’arcidiocesi sarda.
Ancora un altro caso riguarda una collezione privata, quella che Ramon de Cervera, decano di Urgell e membro della Collettoria apostolica in Aragona, raccolse durante la sua vita e che venne inviata a Barcellona alla sua morte. De Cervera visse nell’isola per molti anni, esercitando la professione di giurista, seguendo anche le trattative di pace con il Giudicato d’Arborea, raccogliendo in una biblioteca privata un numero di volumi notevole. Nel 1389, quando De Cervera morì, la sua collezione venne immediatamente requisita, ben sigillata, e quindi spedita, con scorta di armati, a Barcellona, per ordine di re Giovanni I il Cacciatore, sovrano la cui passione per i libri è nota agli storici.
Tutti questi episodi ci presentano un momento storico in cui i libri sono oggetti di estremo valore che suscitano una forte bramosia, e che vengono letteralmente cacciati come prede ambite durante la prima fase della conquista catalano-aragonese, quando si verificano i furti più considerevoli
I volumi erano, e sono stati per molti secoli, beni di lusso che generavano potere e prestigio al pari dei gioielli e dell’oro ed erano trasportabili, e quindi asportabili con facilità e in grande quantità, cosa che ne originò anche il contrabbando e tutto ciò che questo poteva generare.
Possiamo immaginare, in questo periodo, scenari simili a quelli dei moderni film di spionaggio, con notizie e “soffiate” che circolano solo in certi ambienti, personaggi colti, senza scrupoli e di notevole inventiva che si accaparrano volumi o intere raccolte, trasporti di carichi clandestini e notturni, e con nobili, o addirittura reali, che fungevano da compratori o più spesso mandanti.
Il Trecento è un saeculum horribilis per i libri in Sardegna, con la scomparsa di quasi tutto il patrimonio librario, fortemente accelerata dall’arrivo dei catalano-aragonesi: spariscono letteralmente centinaia di volumi, e l’entità del danno fu enorme dal punto di vista culturale. Un danno di cui abbiamo subito e subiamo gli effetti fino ai giorni nostri.
1 G. FIESOLI, A. LAI, G. SECHE, Libri, lettori e biblioteche nella Sardegna medievale e della prima Età moderna (secoli VI-XVI), con una premessa di L.G.G. RICCI, Firenze, SISMEL – Edizioni del Galluzzo, 2016 (Biblioteche e archivi, 30. Texts and Studies.