Rubrica: “La Sardegna dei Comuni” – San Sperate

Ogni settimana raccontiamo la storia di un  paese della Sardegna per far conoscere le sue particolarità, le sue bellezze  geografiche e la sua comunità

di Antonio Tore

“Era giugno di tanto tempo fa. La memoria non è più così lucida, i ricordi sono soffusi nelle sensazioni dell’entusiasmo, nello stupore di tanta gente, per i muri bianchi! I volti cotti dal sole incorniciavano sorrisi pieni di amicizia e di spontanea partecipazione. Le mani callose stringevano altre mani. La lunga processione del Corpus Domini si snodava nelle strette strade imbiancate di calce, i mattoni crudi si vestivano a festa con le frasche portate dai giovani e con i primi colori sui muri. Si iniziava inconsapevolmente la nuova storia di San Sperate, una storia scritta con i colori dell’entusiasmo”. Pinuccio Sciola

 

Il paese di San Sperate conta poco più di 8000 abitanti e confina con i comuni di Assemini, Decimomannu, Monastir, Sestu e Villasor.

Non è ancora ben chiara l’origine del nome, in quanto, sembra che, precedentemente si chiamasse Valeria. L’ultima teoria farebbe risalire l’attuale nome alle spoglie del Santo Sperate ritrovate tra i ruderi di una antica chiesa nel 1616, quindi nel pieno dei famosi scavi seicenteschi alla ricerca dei Cuerpos Santos, globalmente etichettati come falsi e menzogneri dal celebre storico ottocentesco Theodor Mommsen.

Mauro Dadea, archeologo e giornalista, ha sottolineato, invece, come l’iscrizione in pietra contenente l’autentica di queste reliquie fosse stata ritrovata poco dopo il 1582, quindi ben prima che, nel 1614, cominciasse la “gara di scavo”, tra Cagliari e Sassari, alla ricerca di quanti più corpi di santi (o presunti tali) fosse possibile. l’epigrafe reciterebbe: «Qui sono le reliquie di San Sperate e dei Martiri … deposte dal vescovo Brumasio».

Si tratterebbe, probabilmente, di quello Speratus di Scyllum, antica città dell’Africa settentrionale, che con altri undici suoi concittadini fu martirizzato per la fede il 17 luglio 180, a Cartagine. Nell’ipotesi di Mauro Dadea, un gruppo di questi ecclesiastici potrebbe essere stato ospitato in quella che anticamente doveva essere una proprietà agricola della diocesi cagliaritana.

Sia gli scavi effettuati nel Seicento, sia quelli recentissimi per i lavori di ampliamento dell’oratorio parrocchiale, infatti, hanno rivelato che la prima chiesa di San Sperate fu costruita riadattando l’impianto termale di una villa rustica romana, di cui ancora si riconosce una parte dei muri. Qui i vescovi africani avrebbero quindi fatto collocare solennemente le reliquie di San Sperate e dei suoi compagni Martiri Scillitani, che si erano portati dietro, fuggendo, assieme a quelle di Sant’Agostino, di Santa Restituta, delle Sante Giusta, Giustina ed Enedina, altrimenti documentate.

Il paese, come testimoniano anche i numerosi resti ritrovati, è sempre stato abitato e coltivato: recenti scavi dimostrano che i primi insediamenti umani risalirebbero addirittura al XVIII secolo a.C.

Molti di questi antichi reperti risalgono all’età del Bronzo (XIII secolo a.c.). Appartengono a questo periodo, infatti, numerosi oggetti votivi, utilizzati per la celebrazione d’antichi culti religiosi. Si è pure a conoscenza dell’esistenza di un nuraghe che fungeva da vedetta e da rifugio fortificato, e della presenza di numerosi pozzi per l’approvvigionamento idrico. Gli abitanti del luogo vivevano prevalentemente d’agricoltura e di caccia, ma anche le attività artigianali come la lavorazione della ceramica e la forgia dei metalli dovevano essere alquanto sviluppate.

Nel territorio di San Sperate, inoltre, sono state scoperte quattro necropoli puniche e l’antico abitato da cui esse dipendevano. Nel 1876, durante uno dei primi scavi che si sono succeduti nel tempo è stata inoltre ritrovata la Maschera Ghignante, unica nel suo genere per la pregevole fattura con cui è stata realizzata.

San Sperate doveva avere avuto un ruolo molto importante anche nell’epoca di dominazione romana e la presenza di un insediamento romano è stata, tra l’altro, confermata dal ritrovamento, nel 1975, di un’antica necropoli romana. In questo periodo l’antico nome del centro di San Sperate era sicuramente Civitas Valeria, come documentato da antichi documenti del geografo Tolomeo del III sec d.c.

Dopo le dominazioni vandale, bizantine e pisane, San sperate, come l’intera Sardegna, fece parte del regno sabaudo, in cui brillavano soprattutto le esosità dei rappresentanti del regno che portò allo spopolamento del paese.

Nel 1880 fu presentato un progetto per la realizzazione degli argini del fiume Riu Mannu che però, a causa delle lungaggini burocratiche, non riuscì ad andare avanti. Il 20 ottobre 1892, la tanto temuta alluvione arrivò, causando la morte di ben 69 persone.
Nel 1968 ebbe inizio un anno di grandi fermenti politici e culturali, quando Pinuccio Sciola rientrò a casa dopo una serie di stimolanti viaggi in Spagna, Francia e Austria. Carico dell’esperienza internazionale, il giovane artista contagiò presto la sua comunità con una vulcanica voglia di cambiamento fondato sui valori dell’arte e della partecipazione attiva della gente alla riscrittura consapevole del proprio futuro. In concomitanza con la festa religiosa del Corpus Domini, Sciola e i suoi amici iniziarono a ricoprire gli umili muri fatti di fango con strati di calce. L’operazione, una vera e propria performance essa stessa, sorprese positivamente i compaesani, incuriositi ed ammaliati dal bianco accecante esaltato dal potente sole d’estate. Durante i cosiddetti “anni della calce”, così, nacquero i primi murales, molti dei quali riprendevano soggetti di carattere antropologico e politico.

San Sperate divenne ben presto un laboratorio di creazione e confronto e, complice l’attenzione della stampa nazionale ed estera, negli anni successivi arrivarono numerosi artisti, molti dei quali stranieri, che diedero il loro entusiastico contributo dipingendo nuove opere dai soggetti più disparati. I primi a sposare l’idea furono protagonisti dell’arte sarda come Foiso Fois, Liliana Cano, Gaetano Brundu, Giovanni Thermes, Giorgio Princivalle, Nando Pintus e Franco Putzolu. Tra gli altri giunsero poi Rainer Pfnürr ed Elke Reuter dalla Germania, Meiner Jansen dall’Olanda, Otto Melcher dalla Svizzera e José Zuniga e Conrado Dominguez dal Messico.

E proprio il Messico, patria originaria del muralismo moderno, riveste un ruolo significativo in questa straordinaria avventura creativa che dura ancora oggi. Da bambino, mentre nelle stellate notti estive osservava in lontananza le luci della città, Pinuccio Sciola sognava il Messico che, nella sua già fervida immaginazione, si ammantava di un’aura leggendaria. Nel 1973 il sogno divenne realtà quando l’UNESCO invitò Sciola a recarsi nello stato centro-americano. La conoscenza di David Alfaro Siqueiros, uno dei grandi maestri del muralismo messicano insieme ad Orozco, Rivera e Tamayo, si tradusse in un  empatico gemellaggio tra San Sperate e Tepito, quartiere storico di Città del Messico.

Dopo i cosiddetti “anni della calce” , che hanno visto nascere il fenomeno del Muralismo, San Sperate ha continuato ad essere un laboratorio artistico permanente e partecipativo nonché un luogo aperto al confronto e al dialogo multiculturale. Di straordinario e indiscusso valore, poi, sono le innovative ricerche scultoree di Pinuccio Sciola, che a partire dagli anni Novanta lo hanno portato a creare la serie delle “pietre sonore”: conosciute, ascoltate e ammirate in tutto il mondo, queste sculture sono capaci di evocare suggestioni ancestrali.

Il progetto “Il fiume dei writers”, workshop internazionale di arte urbana, partendo da una interpretazione dei graffiti come espressione contemporanea dei murales, ha richiamato giovani writers dall’Italia e dall’Estero. L’iniziativa ha consentito di riqualificare artisticamente l’alveo del fiume Rio Concias, contribuendo parallelamente a rinsaldare il legame della comunità con la storica stagione del muralismo.

Il progetto “Colore Identità”, finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna e noto come “Strade colorate”, ha consentito di colorare alcune vie del centro storico tramite un processo di progettazione partecipata.

 

 

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