Cannelas alludas

Visto il buon successo ottenuto pubblichiamo a puntate un ulteriore racconto di Giorgio PCA Mameli anch’esso ambientato nel cuore della Sardegna. Buona lettura.

I parte

I due uomini stavano cavalcando in silenzio da circa mezzora quando arrivarono ai piedi della collina sulla cui cima stava una casa di due piani. Una finestra del secondo piano era fiocamente illuminata. Senza rallentare il passo i due cavalli presero a salire e quando furono sulla sommità si trovarono in un vasto spiazzo, si avvicinarono alla casa, la luce della finestra del piano di sopra si spense mentre quella giallastra posta sulla porta d’ingresso formava  a terra un piccolo cerchio. Poco discosto, legato ad una corta staccionata, stava un cavallo già sellato. Gli uomini fermarono i cavalli a cinque o sei passi da su stabi [la veranda] era sopralzato di due gradini, con il pavimento in legno. Uno dei due cavalli si scrollò ed emise un suono basso e gutturale: un nitrito di saluto, quello legato rispose brevemente. Dopo pochi istanti la porta si aprì e sulla foglia apparve un uomo di media altezza, nella mano destra teneva su bonette [berretto tradizionale sardo] e nella sinistra sa scopetta [fucile]. Scesi i due gradini si fermò, inspirò a pieni polmoni l’aria fresca dell’alba, sorrise e si mosse con movenze lente verso i nuovi venuti , nel mentre si mise a tracolla il fucile poi si ravviò con la mano destra i capelli, erano neri, duri, ondulati e calzò il berretto. Quando fu a un passo da loro entrambi si scoprirono il capo e uno dei due disse: «Salude [salute], don Gavinu» mentre l’altro non parlò, si limitò ad abbassare la testa. Don Gavino rispose prima con un cenno e poi disse: «Salude a bois [a voi]» Montò in sella con agilità e girò il cavallo per avere i due di fronte. Li fissò con occhi penetranti, prima uno e poi l’altro, entrambi ressero lo sguardo e con voce chiara e calma disse: «Cannelas alludas nun ‘nde lassamus [candele accese non ne lasciamo]». Dopo qualche secondo i due ripeterono all’unisono: «Cannelas alludas nun ‘nde lassamus.»  L’uomo chiamato don Gavinu assentì con gravità, toccò leggermente col tallone il fianco del cavallo, questo ruotò docilmente attorno alla sua gamba, poi guardò l’orizzonte e senza un cenno si avviò nella direzione opposta a quella dalla quale erano venuti i due uomini. Prese il sentiero a scendere, cavalcava con eleganza e leggerezza, a una lunghezza seguivano gli altri due, procedevano sfasati: uno a destra e uno a sinistra come fossero di scorta.  Andarono al passo, in silenzio, per circa tre ore. Entrando nel fitto del bosco i passaggi si erano fatti stretti e talvolta con le ginocchia sfioravano le cortecce degli alberi. Si fermarono vicino a un ruscello, allentarono i sottopancia dei cavalli, li lasciarono bere e poi piluccare con calma l’erba intorno all’albero a cui li avevano legati. L’uomo di nome Efisio prese dalle tasche della bisaccia pane, formaggio e un po’ di frutta mentre l’altro, Grazianeddu, stese un telo e vi mise sopra una bottiglia e delle tazze di latta. Don Gavinu prese una di queste e avvicinatosi al ruscello la riempì d’acqua e ne bevve per tre volte. L’acqua era limpida, fredda e corroborante. I tre uomini si sistemarono intorno al telo e mangiarono in silenzio, masticando a lungo e con tranquillità ogni boccone. Quand’ebbero finito quello spartano pasto si concessero ancora qualche minuto di pausa poi Efisio scosse il telo sulla riva del ruscello, si inginocchiò, risciacquò le tazze e riempì le borracce mentre Grazianeddu sistemò le selle tirandole sui garresi dei due cavalli, facendo attenzione a che le copertine sottosella non facessero grinze e strinse i sottopancia. Don Gavinu sistemò le sue cose da sé.

Nel disegno è riportato il noto bandito Giovanni Corbeddu Salis. Ogni possibile riferimento al racconto è del tutto casuale

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  1. Avatar for Giovanni Giovanni 17 Marzo 2023

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