I 50 anni del Liceo “Alberti”
Testimonianza di una importante ricorrenza grazie all’opera di Padre Solinas nel ricordo di un suo allievo
di Paolo Piu
Quest’anno il liceo scientifico “Alberti” festeggia i 50 anni dalla sua fondazione. Ma in quegli spazi nei decenni precedenti sorgeva l’Istituto del Padre Francesco Solinas, denominato esattamente “Conservatorio Francescano del Sacro Cuore”, che successivamente prese il nome di “Villaggio San Francesco”. Il fine di quest’opera, sorta nel 1945, inizialmente fu quello di dare ricovero, assistenza e istruzione ai ragazzi rimasti orfani e privi di abitazione a causa dei bombardamenti degli anglo-americani sulla città. Anche negli anni successivi, l’opera di Padre Solinas, proseguì, accogliendo ragazzi da tutta la Sardegna.
Uno di questi ragazzi di Padre Francesco è il Dottor Claudio D’Alessandro, studioso che ha lavorato come ricercatore e docente presso la facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari, al quale poniamo alcune domande a riguardo.
Che cosa ha determinato la nascita del Conservatorio Francescano?
La nascita è dovuta alla necessità di salvare dalla strada, dalla povertà e dai pericoli connessi alla situazione di abbandono, decine e decine di ragazzi orfani di guerra e dar loro, oltre all’assistenza materiale e morale, anche una istruzione scolastica e una formazione professionale, che permettesse loro di inserirsi nella società una volta diventati adulti e autosufficienti.
Quali difficoltà ha dovuto affrontare Padre Solinas per aiutare questi ragazzi?
All’inizio egli dovette riadattare i vecchi capannoni dell’Educatorio Walter Pasella in viale Colombo, che gli furono concessi dal comune di Cagliari. Inoltre egli dovette affrontare tutti i giorni il problema di sfamare questi ragazzi, compito reso estremamente difficile data la situazione post-bellica in cui vigeva il razionamento alimentare.
Come affrontò questo problema?
Padre Francesco chiese aiuti ovunque, alle autorità e ai privati cittadini. Era frequente vedere il religioso in giro per la città per procurare cibo e vestiario. Una delle scene più caratteristiche dell’epoca era quella del carretto trainato dall’asino, col quale i ragazzi si recavano al mercato e spesso qualche rivenditore regalava loro del cibo sapendo che si trattava dei ragazzi di Padre Francesco. Il cibo non era abbondante. Un pasto consisteva in una minestra con un po’ di verdura, poca pasta e alcune fette di pane. La pasta era servita solo nei giorni festivi, la carne, all’inizio, mancava del tutto. Il pasto era uguale per tutti, assistenti e ragazzi.
Come erano organizzati gli spazi?
L’Istituto era costituito da diversi edifici, che comprendevano: le aule scolastiche per l’istruzione elementare, la cappella, le officine, la falegnameria, il refettorio, i dormitori e gli alloggi delle collaboratrici. Vi era anche un grande cortile dove i ragazzi nelle ore libere potevano giocare a calcio e divertirsi. Padre Francesco stava in mezzo a loro, anche organizzando giochi e attività ricreative e ciò contribuiva a creare un ambiente gioioso e sereno.
Quali attività si svolgevano nelle officine e nei laboratori?
Là i ragazzi imparavano un mestiere, ricevendo un’opportuna formazione professionale, come meccanico, falegname, calzolaio, carrozziere, rilegatore di libri.
Com’era organizzata la giornata?
La sveglia era alle h.7, o dopo la preghiera e la colazione iniziava la scuola o il lavoro a seconda dell’età e delle scelte personali. Dopo la pausa pranzo, vi era del tempo libero per il gioco, per poi dedicarsi ai compiti o tornare al lavoro. Alle h.20 la cena, preceduta da una funzione religiosa nella cappella.
Dove sorgeva la cappella?
Sorgeva sulla destra dell’attuale ingresso secondario del Liceo “Alberti” e le finestre si affacciavano sul viale Colombo. Oggi è stata trasformata in un’aula del liceo.
Come vivevano i ragazzi provenienti da quelle traumatizzanti esperienze belliche? Quale clima si respirava all’interno della comunità?
Padre Francesco, coadiuvato dalle volontarie, cercava sempre di creare un clima familiare, un’atmosfera accogliente che permettesse ai ragazzi di percepire l’affetto e il calore umano. Vi era necessariamente una certa disciplina, ma insieme a questa vi è sempre stata la preoccupazione di responsabilizzare ognuno, affinché qualsiasi decisione fosse presa consapevolmente. Alcuni tra i primi giovani arrivati nell’istituto mi hanno confermato ciò, aggiungendo che oltre ai richiami per gli errori vi era sempre anche la valorizzazione dei meriti e degli aspetti positivi. I ragazzi ricordano anche che Padre Francesco non si aspettava mai alcuna forma di riconoscenza. Egli viveva la sofferenza dei ragazzi, aiutandoli.
Che ricordo ne hanno avuto le collaboratrici, i soci e gli amici del Conservatorio?
Diverse di queste persone hanno sottolineato l’approccio non autoritario nell’educazione dei ragazzi. Era fondamentale la stima reciproca e il rispetto della persona. La Dottoressa Maria Grimaldi, medico e collaboratrice esterna dell’istituto, mi ha più volte decritto il clima che Padre Francesco creava nella comunità. Egli riceveva i ragazzi quando esprimevano la necessità di esporgli i loro problemi, parlava con loro e, cosa che colpiva molto positivamente, giocava con loro. La sua gioia più grande era la realizzazione dei ragazzi. Posso testimoniare personalmente che Padre Francesco aveva a cuore, sopra ogni altra cosa, il bene di ognuno.
Quando in quegli spazi sorse il liceo “Alberti” voi eravate ancora nell’Istituto?
Sì, eravamo lì. Non vi erano contatti tra noi e il liceo. Le due istituzioni avevano spazi propri e ingressi distinti. Il liceo nel corso del tempo ebbe la disponibilità di altri locali del nostro Istituto che si era ristretto ulteriormente.
Per quanti anni restò ancora aperto e operativo l’Istituto?
Il Centro di viale Colombo restò attivo fino al 1992, anche se nel frattempo aveva cambiato sia la denominazione che il tipo di attività. Infatti dai primi anni ’80 e fino alla chiusura, il Centro funzionò come Scuola semi-convittuale, nella quale, una volta diplomato anch’io insegnai come aiuto maestro. Questo Semi-convitto raccoglieva i bambini dei quartieri più disagiati di Cagliari, per offrir loro il servizio della scuola materna e un’istruzione elementare.
L’attività iniziava alle h.8 del mattino e terminava alle h.17. Ogni giorno, al Semi-convitto, i bambini ricevevano la colazione prima dell’inizio delle attività didattiche; vi era poi il pranzo, il gioco e il doposcuola e infine la merenda prima del rientro in famiglia. Oltre alle attività scolastiche consuete, in particolari occasioni la scuola organizzava anche feste e recital per le ricorrenze specifiche o per la fine dell’anno scolastico. Inoltre i bambini venivano preparati per le Prime Comunioni.
Cosa avvenne dell’Istituto dopo questo periodo finale?
Dopo la morte di Padre Francesco, che avvenne nel 1983 proprio in questi locali, il Centro continuò a funzionare per circa 8 o 9 anni, fino a quando le forze delle volontarie lo permisero. Dopodiché ci fu la chiusura definitiva delle attività, ma le ultime volontarie decisero comunque di continuare a vivere in comunità in un altro stabile. A seguito della chiusura del Centro, l’area tornò nelle disponibilità del comando della Marina Militare, perché tutta la superficie è demanio marittimo. Solo negli anni successivi alla chiusura il liceo “Alberti” occupò anche gli spazi che fino ad allora erano del Villaggio San Francesco – scuola semi-convittuale, dati in concessione all’attuale Istituto. Un’altra parte dei locali del Villaggio ospita da tanto tempo i ragazzi dell’ANFAS con i loro educatori.
Possiamo concludere con una riflessione sul significato di questa esperienza?
In quest’area demaniale è viva e operante da molti decenni, col susseguirsi delle varie istituzioni assistenziali e scolastiche, una tradizione educativa che appartiene alla storia di Cagliari e della Sardegna.