Incidenti, sicurezza stradale e altre amenità.
Di Massimo Dotta
Secondo i più recenti dati diffusi dall’ISTAT, in Sardegna, durante il 2019, sono avvenuti 3.633 incidenti stradali, con il conseguente decesso di 71 persone e il ferimento di 5.374.
La maggior parte dei sinistri è accaduta all’interno delle zone urbane (ben 2.173, ovvero il 59,8% del totale), e infatti leggiamo spesso sui quotidiani locali dell’ennesimo incidente stradale, con la consolidata formula di rito “per cause da accertare”. A Cagliari si verificano un numero di incidenti stradali impressionanti in rapporto al numero di veicoli circolanti.
In effetti, anche per esperienza personale, guidare in città non è sempre facile, in generale sembra che lo stile di guida tenda all’intimidazione più che alla prudenza. Viene da pensare da cosa possa essere originato un fenomeno come questo, dal momento che sono possibili molte altre possibilità di comportamento alla guida.
Al di là dei moderni mezzi di distrazione come il telefonino, argomento che non toccherò per motivi di ridondanza, quello della guida di autoveicoli, appare se analizzato, un mondo complesso dove entrano in gioco diversi fattori umani e concetti di psicologia, sociologia ed etica.
Interessante, dal punto di vista psicologico, il fatto che alla guida ci si trova in una situazione di proiezione in movimento dello spazio personale, quell’area inviolabile intorno a noi, all’interno della quale ci sentiamo sicuri, e che dipende nella sua ampiezza dal nostro stato mentale. Ad esempio l’ansia tende ad ampliarlo notevolmente e quando si guida, una leggera componente d’ansia è sempre presente. Sembra una cosa banale ma lo spazio peripersonale difensivo ha un confine netto che varia da persona a persona, e all’interno di questo spazio vi è “zona ad altissimo rischio” la cui invasione genera reazioni difensive anche violente.
Oltretutto l’atto di guidare riflette la sfera simbolica delle rappresentazioni culturali, cioè rende evidenti tutte le associazioni simboliche che ciascun i noi costruisce attorno all’automobile, un ambito di studi ricco di spunti interessanti. Ogni persona, infatti, ha un personale archivio di interpretazioni e immagini da cui attinge per descriverne il ruolo che l’automobile ha nella loro vita quotidiana, un frame entro cui la macchina acquisisce senso.
Le pubblicità delle case automobilistiche agevolano la costruzione di determinate interpretazioni dell’auto e sono lo strumento più potente per veicolare specifici significati.
Insomma l’atto stesso di guidare coincide spesso con una intera visione del mondo, con molte espressioni di affermazione di esistenza personale, generando atteggiamenti anche aggressivi e di prevaricazione.
Veri e propri habitus, che un individuo apprende grazie alle diverse forme di socializzazione, basandosi su messaggi spesso in contraddizione.
Nella comunicazione sull’automobile troviamo, infatti, “messaggi normativi” riferiti alla sicurezza stradale mischiati con “messaggi edonistici” dalle pubblicità che promuovono automobili sempre più veloci e potenti. Quindi vengono proposti sia il rispetto delle norme del Codice della strada come segnale di maturità e responsabilità, che “modelli di adulti vincenti”, associati a comportamenti estremi e incuranti del rispetto per gli altri individui presenti sulla strada, che con le condizioni reali della mobilità urbana possono risultare disorientanti. I bambini ad esempio seguono corsi di educazione stradale, sempre più diffusi nelle scuole, ma poi vedono quotidianamente comportamenti di guida, non sempre corretti, dei propri familiari.
I comportamenti che formano l’habitus sono trasmissibili e se si vuol davvero capire come questo si formi si devono studiare le pratiche di inculcamento attraverso cui si forma.
Come nel famoso primo episodio del film i Mostri, Educazione sentimentale, dove si vede un padre che “forma” il figlio, fino all’epilogo finale in cui l’educazione darà i suoi frutti.
Il problema della sicurezza alla guida non è solo un problema di velocità eccessiva, risolvibile con una serie di autovelox piazzati per un certo periodo in una serie di punti chiave, ma è sopratutto un problema di mancanza di comprensione di alcuni concetti abbastanza semplici.
Gli esempi potrebbero essere molti, ma vorrei evidenziare, ad esempio, un atteggiamento che trovo veramente insopportabile è la mancanza di rispetto della distanza di sicurezza tra autoveicoli. Trovarsi con una macchina attaccata come una zecca è un fatto diffusissimo in tutta l’Isola, ed è purtroppo molto pericoloso, anche a basse velocità.
Bisognerebbe fare un’analisi di ciò che succede per la testa del conducente attaccato in coda, perché realmente incuriosisce la sequenza logica che origina questo comportamento: si vuol fare paura? Come a dire o ti sposti o ti travolgo; come è possibile non capire che se viaggio, diciamo per essere corretti, a 90 km orari, e non lascio distanza dal veicolo che mi precede, in caso di frenata tampono di sicuro l’auto davanti?
Si arriva così alla situazione sandwich, in cui diverse macchine si accodano a pochissima distanza le une dalle altre, ricordando i vagoni di un treno, salvo poi tamponarsi a vicenda in caso di frenata del primo della fila.
Insomma è probabile che per affrontare i problemi della guida e della sicurezza stradale si debba fare un lavoro non normativo, con nuovi divieti o restrizioni, ma più che altro pedagogico cercando di cancellare quei messaggi in cui certi atteggiamenti sono considerati “fighi”, ossia degni di essere imitati e ripetuti.