“Luoghi sconosciuti in Sardegna”: Osini Vecchio, tra tacchi, gole e falesie
di Annalisa Pirastu.
Osini, nel centro dell’Ogliastra, emerge umile e dignitosa dai maestosi incontaminati Tacchi, alti quasi mille metri. Il territorio ospita tra le altre meraviglie, il complesso nuragico di Serbissi, tra i più importanti di tutta la Sardegna.
Gole, dirupi, falesie ammantate di verde mediterraneo, una foresta di lecci, orti, cercano di farsi perdonare la spoglia linearità architettonica, del paese “nuovo” tagliato fuori, come il vecchio, dalle maggiori vie di comunicazione dell’isola.
Il maestoso Taccu di Osini, sovrasta il paese e domina tutta l’Ogliastra. La leggenda narra che san Giorgio vescovo di Suelli pregò ai piedi dell’altopiano prima di accingersi a scalarlo poiché gli sbarrava la strada. Per miracolo, si aprì un varco nella roccia, soprannominato da allora Scala di San Giorgio. Una gola aspra e selvaggia che forma un angusto passaggio fra due pareti calcaree e dolomitiche.
L’attuale abitato di Osini fu ricostruito un chilometro più a nord di quello vecchio, dopo la devastante alluvione del 1951. Il paese nuovo è quasi completamente composto da appartamenti, per la necessità di fornire nel minor tempo possibile, degli alloggi alla popolazione dopo la devastazione. Popolato da circa 800 abitanti, la Mission Impossible è stata di ingentilirlo con i lavori di artisti sardi come Maria Lai, Costantino Nivola e Pinuccio Sciola. L’Osini storica, invece, nasce nel Medioevo, passa per vari giudicati, prima, di Calari, poi di Gallura e si accoccola sotto il dominio aragonese e spagnolo. Di quella Osini rimane intatta la chiesa seicentesca di Santa Susanna e i ruderi colorati di un paese fantasma sospeso nel tempo.
Ci accoglie il gorgoglio della fontana posta all’inizio del vecchio paese deserto. La fonte d’acqua è pennellata di un azzurro incatenato a una tonalità smorzata dagli agenti atmosferici. Il colore azzurro oltre ad altri colori accesi, ritorna nelle facciate dei ruderi e fa capolino dagli interni delle case squarciate. Ogni rudere racconta una storia che non ci è dato conoscere, ma ogni muro rimanda a una bellezza composta da due elementi che si fondono in un’armonia che è raro trovare: la mano dell’uomo e la natura. Le case infatti sono diventate parte della natura in una commistione di pietre e vegetazione.
Ci allontaniamo dalla strada principale e percorriamo i vicoli acciottolati del paesino che per due giorni all’anno sembra rivivere, animandosi per ospitare la festa del patrono. Pochissime case sono ristrutturate e messe in sicurezza con balconcini in ferro restaurati e portoni ripristinati. A differenza di Gairo vecchia, altro paese ormai fantasma, a circa sei chilometri da qui, ci siamo solo noi. Nessuno passeggia con i cani, nessun turista o curioso ci saluta come a Gairo, nessun pastore transita. Solo qualche sporadica auto attraversa velocemente questa frazione dimenticata la cui tragica bellezza acquista una sfumatura di malinconia per questa trascuratezza.
(Annalisa Pirastu è una guida turistica certificata)